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di Giuseppe Longo

NIMIS – Mentre dai vicini colli di Sedilis giungevano i bagliori del “Pignarûl Grant” e dei fuochi artificiali di Tarcento, a Ramandolo veniva finalmente incendiato l’enorme falò epifanico allestito nello spiazzo retrostante la Chiesa di San Giovanni Battista, sulle pendici del monte Bernadia, in una posizione così panoramica che lo ha reso fra i più spettacolari e suggestivi del Friuli, potendone vedere le fiamme sicuramente fino a Udine.
Tra i principali nel territorio di Nimis, erano stati invece accesi per primi i fuochi di Borgo Cecchin-San Gervasio e di Torlano, quindi appunto quello di Ramandolo al quale ha assistito un folto pubblico brindando al nuovo anno con gli ottimi vini del borgo, tra i quali eccelle il dolce Ramandolo, primo vino ad avere meritato la Docg in Friuli Venezia Giulia oltre vent’anni fa.
Una bella tradizione, insomma, lodevolmente ripresa dopo il Covid – ma fino a quando potrà essere mantenuta in vita con le norme ambientali sempre più stringenti? – e che il giorno precedente, vigilia dell’Epifania, era stato preceduto a Cergneu dall’accensione del “palavin” (così si chiama nella frazione più orientale il falò propiziatorio, mentre a Nimis è noto come “pagnarili”) da parte del Pust che era stato appena liberato dopo il risveglio da un sonno triennale, reso così lungo dalla interminabile emergenza sanitaria. Adesso, dunque, è ormai Carnevale per cui anche queste sentite consuetudini, le cui origini si perdono nella notte dei tempi, vanno in archivio. Se ne riparlerà tra un anno o poco meno, alle prossime feste di Natale.

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In copertina e all’interno immagini dell’accensione del grande falò epifanico di Ramandolo presente un folto pubblico.

(Foto Daniel Longo)

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